E’ successo a tutti almeno una volta di pronunciare queste parole di fronte a una situazione esasperante. Il “time out” indica proprio l’allontanamento fisico del bambino, posto su una sedia (o in un luogo specifico) e lasciato a “pensare a quello che ha combinato e a come si è comportato”, senza l’intervento o il sostegno dell’adulto.
Ma siamo sicuri che sia un buon metodo? Vediamolo insieme.
Ciao sono Ludovica e ho 4 anni. La mia mamma mi ha sempre descritta come una bambina molto affettuosa, ma forse troppo fisica. Ieri sono tornata all’asilo dopo qualche giorno di influenza e, dalla felicità, volevo tanto abbracciare la mia amica Camilla, solo che per farlo l’ho spinta per terra e lei ha iniziato a piangere. La maestra è subito intervenuta: non mi ha lasciata parlare, spiegare e, sgridandomi, mi ha mandata su una sedia. “Vai a pensare a come ti sei comportata” ha detto. E così ho fatto, in silenzio e molto triste. Cosa dovevo fare? La maestra non mi vorrà più bene e, quando lo dirà a mamma e papà, anche loro smetteranno di volermene. Mi sono seduta e ho guardato fuori dalla finestra: c’era un farfalla, tutta colorata e ho seguito il suo volo. Poi ho sentito la mia pancia brontolare, avevo fame, chissà cosa avrei mangiato per pranzo? Di che colore sarà la maglietta della mamma quando verrà a prendermi? Sono proprio felice di essere tornata a scuola, magari dopo faccio un disegno da appendere alla porta. In quel momento la voce della maestra ha interrotto le mie fantasie chiedendomi “Allora, hai pensato a quello che hai fatto?”
Chiedere ai bambini di stare soli e riflettere sul comportamento messo in atto non è solo scarsamente utile, ma anche poco rispettoso nei loro confronti. Ci aspettiamo che pensino come noi adulti? Che abbiano la competenza logico-razionale per definire una causa-conseguenza? I bambini così piccoli non hanno ancora sviluppato una regolazione emotiva tale da permettergli di riflettere in maniera autonoma sul proprio comportamento. Al contrario, necessitano di un adulto guida, contenitore, che dia sostegno e rassicurazione.
Quali sono i messaggi latenti dietro al time-out?
Cosa fare, allora, come alternativa?
Il time out potrebbe essere utile, invece, per l’adulto. A me personalmente è capitato più di una volta: in situazioni di difficoltà e in cui la mia emotività veniva scombussolata, ho perso la calma. Ho respirato e chiesto a una collega di intervenire al mio posto. Mi sono allontanata dalla classe per riprendere il controllo delle mie emozioni, per cercare di uscire dalla situazione e guardarla da un altro punto di vista. Chiedere aiuto e sostegno non è da deboli, ma permette di evitare urli e sgridate che peggiorano solo le situazioni.
"Chiunque abbia a che fare con il bambino deve capire che la punizione e l’isolamento non gli serviranno per raggiungere l’autocontrollo di cui ha bisogno"
E. Goldschmied