Prima di addentrarci nel fantastico mondo delle emozioni, mi sembra doveroso fare una breve premessa (che poi alla fine non sarà mai breve).
Fino a non molti anni fa l’argomento emozioni era considerato quasi un tabù e difficilmente se parlava in maniera libera e disinvolta. Siamo cresciuti con l’idea che emozionarsi fosse da deboli, che piangere fosse da “femminucce” e avere paura da fifoni. Siamo stati (ma lo stiamo tuttora) caricati di stereotipi e ideali secondo i quali mostrare la propria emotività significava essere vulnerabili, inadeguati, sbagliati. Siamo cresciuti a suon di “Non fare la femminuccia”, “Non devi piangere”, “Non ha senso arrabbiarsi per questa sciocchezza”.
Nessuno ci ha mai insegnato come gestire la nostra vita emotiva, ma soprattutto nessuno ci ha mai detto che, contrariamente a quanto si pensava, avevamo il sacrosanto diritto di provare tutte le emozioni. Di arrabbiarci per le ingiustizie subite, di essere tristi per il dolore, di avere paura.Nonostante tutto siamo cresciuti, è vero, ma con quanto peso sulle spalle, con quanta difficoltà nel buttare fuori i nostri stati d’animo, con quante ferite che ci hanno fatto credere di non essere abbastanza.
Fortunatamente negli ultimi anni le ricerche e gli studi si sono indirizzati sempre più verso un’alfabetizzazione emotiva, centrale nella quotidianità di ciascun essere umano. Abbiamo capito l’importanza di insegnare e accompagnare fin da piccoli i bambini all’esplorazione, al riconoscimento e alla gestione delle varie emozioni, proprio per consentire loro di crescere come adulti competenti ed equilibrati. Per non sentirsi sbagliati, ma leggeri e autentici.
Ma veniamo a noi, con un po’ di veloce teoria (questa volta prometto che sarà realmente veloce). Le emozioni sono sensazioni che ciascuno di noi prova quando si trova ad affrontare situazioni piacevoli o spiacevoli. A partire dalla seconda metà del primo anno le emozioni primarie (gioia, rabbia, paura e tristezza) iniziano a comparire ed essere ben visibili, mediante diversi canali, come espressioni facciali, reazioni corporee o la voce. Con la crescita, poi, si sviluppano anche quelle secondarie o sociali, più complesse e influenzate dal contesto e dalle esperienze (vergogna, gelosia, senso di colpa…). Contrariamente a quanto si pensa, non esistono emozioni negative: tutte hanno una funzione ben precisa, anche quelle più faticose e difficili da affrontare. Ma questo lo vedremo meglio nel prossimo articolo.
Nella pratica, il nostro compito è di aiutare i bambini a comprendere la naturalità e l’universalità delle emozioni: tutte vanno bene, tutte possono essere provate. Come fare? Nominando, riconoscendo, accogliendo e accettando le varie sfaccettature emotive nostre e dei nostri bambini.Si tratta di un lavoro quotidiano, che richiede allenamento, pazienza, costanza. E’ un processo complesso e faticoso, che non può avvenire senza prima fare un lavoro su noi stessi. Concediamoci la possibilità di vivere a pieno le nostre emozioni e di mostrarle. I bambini seguono il nostro esempio: “se vedo mamma e papà arrabbiati, tristi, spaventati allora significa che anche io posso sentirmi così, che vado bene e non sono sbagliato/a.”
“Gli individui con capacità emozionali ben sviluppate hanno anche maggiori probabilità di essere contenti ed efficaci nella vita, essendo in grado di adottare atteggiamenti mentali che alimentano la produttività”. (D. Goleman)